IL PERIODO ROMANTICO
Al Romanticismo
musicale, fecero da battistrada opere letterarie che ne costituirono il
substrato filosofico-estetico: al movimento dello Sturm und Drang sono
riferibili momenti delle produzione di Gluck, Haydn, Mozart e, naturalmente,
Beethoven. Novalis, Tieck, Jean Paul Richter, Hoffmann, mettono in rilievo le
qualità poetiche della musica e la tensione dell'artista creatore verso
qualcosa di irraggiungibile, cui seguono spesso improvvisi ripiegamenti, tipica
di tanta musica romantica.
Due musicisti contemporanei di Beethoven, ma
nati alcuni anni dopo di lui, sono rappresentativi del primo romanticismo: Carl
Maria von Weber e Franz Schubert.
CARL MARIA VON WEBER
Weber (1786-1826) fu particolarmente attivo
nel campo dell'opera lirica. Il franco cacciatore, Eurianthe e Oberon, tutte su
testo tedesco, sono alla base del teatro nazionale romantico. Canti popolari,
ambiente pastorale, manifestazioni di potenze sataniche danno alla partitura
musicale di Il franco cacciatore un colore poetico e drammatico indimenticabile.
Weber è anche autore di quattro Sonate per pianoforte, di Concerti per
clarinetto, nonché di quell'Invito alla danza (1819) che è quasi
un simbolo dell'estetica Biedermeier.
FRANZ SCHUBERT
Unico viennese dei tanti musicisti che
vivono a Vienna tra Sette e Ottocento, Schubert (1797-1828) è impregnato
di uno spirito romantico o da salotto. La differenza nello stile di vita con
Beethoven non potrebbe essere maggiore: amante della compagnia (le serate con
gli amici prendono perfino il nome di schubertiadi), scrive una grande
quantità di brevi pagine pianistiche (Improvvisi, Momenti musicali,
raccolte di valzer), anche a quattro mani e, soprattutto, Lieder, composizioni
per voce e pianoforte nelle quali musica e letteratura si integrano l'una con
l'altra secondo una concezione tipicamente romantica. Specie nelle raccolte
liederistiche, Schubert va oltre il momento della funzione di intrattenimento,
per raggiungere livelli espressivi altissimi, come nei cicli La bella mugnaia,
Il viaggio d'inverno e Il canto del cigno.
La tendenza al canto, alla
melodia si sposa in Schubert ad un prodigioso uso dell'armonia spinto a
soluzioni che all'epoca non adotta neppure Beethoven.
Questa stessa
tendenza determina nella sua musica strumentale quel distendersi ampio e
discorsivo che si può ascoltare nella Sinfonia in si minore
(«Incompiuta») e in quella in do maggiore («La Grande»), in
Sonate come le ultime in la, do minore e si bemolle maggiore, negli ultimi tre
Quartetti per archi e nel Quintetto in do maggiore pure per
archi.
ROBERT SCHUMANN
Con Robert Schumann (1810-1856) entriamo
nel pieno del Romanticismo tedesco. è il più intellettuale dei
musicisti della sua epoca: polemista e critico acutissimo, fondatore di una
rivista musicale tuttora edita, scopre il genio di Chopin e quello di Brahms.
Ama firmare i suoi articoli e anche talvolta la sua musica col nome di
Florestano, Eusebio e Maestro raro: il primo di carattere ardente e passionale,
il secondo introverso e timido, il terzo classicamente sicuro del suo raggiunto
equilibrio. Studente a Lipsia e Heidelberg, viene folgorato dal virtuosismo di
Paganini; tardivo studente (regolare) di musica, studia pianoforte con Friedrich
Wieck di cui sposerà (contro la di lui volontà) la figlia Clara,
pianista e principale interprete delle sue musiche. Nel decennio di
straordinaria attività creativa 1830-1840, vien fuori la maggior parte
della sua produzione pianistica, in un inseguirsi di idee musicali che passano
spesso da un brano all'altro secondo una poetica della memoria tipica di
Schumann; ricordiamo: Papillons, Danze dei fratelli di Davide (dove i
progressisti sono contrapposti ai filistei, tradizionalisti), Carnaval, Pezzi
fantastici (fra i quali è compreso Slancio, pezzo nel cui titolo si
compendia benissimo l'atteggiamento compositivo del suo autore) Novellette,
Scene infantili. Più tardi avremo ancora per il pianoforte una raccolta
che potremmo definire di «poetica pedagogica», L'album per la
gioventù, e le fiabesche Scene del bosco. Nelle composizioni in cui
Schumann deve fare i conti con lo stile classico (3 sonate pianistiche, 4
sinfonie, 3 quartetti per archi) i risultati sono più problematici ma non
meno originali: l'idea di utilizzare uno stesso spunto musicale in parti diverse
della composizione (ad esempio nelle prime due Sonate e nella Sinfonia n. 4)
porta alla forma ciclica che sarà coltivata più tardi da Liszt,
Brahms e Franck. Nel campo del Lied, dove molto spazio viene lasciato al
pianoforte, spiccano Amore e vita di donna e Amor di poeta.
FELIX MENDELSSOHN
In confronto con Schumann, Felix
Mendelssohn (1809-1847) appare più ordinato e sereno. Di famiglia colta e
ricca, mette a frutto il privilegio di poter disporre di una piccola orchestra
casalinga su cui verificare i suoi primi lavori, nonché di aver la
possibilità di spostarsi senza problemi attraverso l'Europa.
Diciassettenne, scrive il suo primo capolavoro; l'Ouverture per il Sogno di una
notte di mezza estate di Shakespeare; più tardi vi aggiungerà
altri 12 brani tra cui lo Scherzo, il Notturno e la celeberrima Marcia
nuziale.
Il senso del fiabesco che domina questi pezzi, si ritrova in altre
ouvertures da concerto come la Grotta di Fingal, La bella Melusina e in parti
delle Sinfonie «Italiana» e «Scozzese».
Mendelssohn
sente molto il valore della tradizione: è l'unico dei romantici a
scrivere importante musica per organo, oratori (Elias, Paulus), sinfonie legate
a profonda spiritualità (Riforma, dove riprende il corale luterano, e
Lobgesang con coro, soli e organo). Il Concerto in mi minore per violino e
orchestra, due Trii per pianoforte e archi, nonché la raccolta delle
Romanze senza parole per pianoforte completano il panorama delle sue opere
principali.
FRYDERYK CHOPIN
Nel periodo di cui ci stiamo occupando,
l'ancor gracile fortepiano usato nell'arco di tempo che va a Bach a Schubert
subisce sostanziali modifiche, sotto l'urgenza di nuove istanze, artistiche e
sociali (musica in ambienti più vasti): si arriva a poco a poco al
pianoforte, strumento in larga misura al centro della produzione
romantica.
Il suo poeta indiscusso è Fryderyk Chopin (1810-1849),
musicista polacco (ma di padre francese), la cui arte si sviluppa compiutamente
a Parigi, ma i cui contatti con la madrepatria non si interrompono per la
presenza nella capitale francese di nobili polacchi ivi rifugiatisi dopo
l'invasione russa. Concerti in pubblico ne tiene solo nella parte iniziale della
carriera, a cui risalgono i due Concerti per pianoforte ed orchestra. In seguito
suona quasi esclusivamente nei salotti frequentati dalla migliore società
parigina, dando nel contempo ricercatissime lezioni di pianoforte. La sua
musica, a differenza di quella di Schumann, non rivela programmi extramusicali.
Chopin è nel Romanticismo musicista assoluto: la musica da salotto
diventa con lui momento di alta poesia. Preludi, Valzer e Notturni ne contengono
esempi in quantità. Di più ampia architettura gli Scherzi, le
Ballate, le Sonate; negli Studi (due raccolte) c'è tutta l'essenza
tecnica e poetica insieme del suo pianismo. Le Polacche e soprattutto le
Mazurche, portano ricordi delle musiche tradizionali della sua patria, immersi
in una sensibilità armonica raffinata che Chopin lascerà, alla
fine della sua breve vita, in eredità ai musicisti francesi
successivi.
FRANZ LISZT
Lo sviluppo delle possibilità
virtuosistiche e coloristiche del pianoforte, si deve al grande
pianista-direttore-compositore Franz Liszt (1811-1886), ungherese, ma nato da
genitori tedeschi. Precoce talento musicale, a 11 anni tiene un concerto a
Vienna dove lo stesso Beethoven lo incoraggia a proseguire la carriera appena
intrapresa. Concertista di grido fino al 1847 tra Francia, Italia, Inghilterra e
Paesi tedeschi, è stimolato da Paganini (ascoltato a Parigi) a sviluppare
una tecnica pianistica simile a quella esibita dal genovese sul violino. La
Sinfonia fantastica di Berlioz, lo spinge nella direzione della musica a
programma.
Inventore del recital pianistico (esibizione di un unico
esecutore-pianista per tutto il concerto) abbandona la carriera stabilendosi a
Weimar, maestro di cappella del granduca.
Approfondisce la conoscenza
dell'orchestra, affrontando una densa attività direttoriale, appoggiando
Wagner di cui dirige le prime opere. Attaccato da Brahms e da personaggi
influenti nel mondo della critica va a Roma, dove (clamoroso epilogo a
burrascosi trascorsi sentimentali) diventa abate, trascorre il seguito della sua
vita tra Budapest, Weimar e Roma; muore a Bayreuth dove ormai malato si era
recato per assistere all'esecuzione delle ultime opere di Wagner.
Liszt
sviluppa una tecnica pianistica «a tutto campo» nell'intento di
ottenere colori strumentali inauditi, la cui realizzazione implica un alto grado
di specializzazione; ricerca colori orchestrali nuovi anche nell'intento di
alludere a idee filosofiche o trame poetiche; sviluppa un'armonia che sempre
più si allontana da quella dei compositori classici; elabora forme nuove
basate sul principio della trasformazione dei temi; diffonde le opere musicali
dell'avanguardia d'allora (Berlioz, Wagner) anche attraverso trascrizioni e
parafrasi-fantasie per pianoforte.
Vanno anche ricordate le ben note
Rapsodie ungheresi (basate sulla musica tzigana della sua patria), due Concerti
per pianoforte e orchestra, le raccolte Années de pélerinage, la
Faust-Symphonie.
Franz Liszt al piano
HECTOR BERLIOZ
è un compositore-direttore non
pianista francese (sapeva suonare solo la chitarra), Hector Berlioz (1803-1869),
a sviluppare organicamente una tecnica di orchestrazione rivoluzionaria. Anomalo
come formazione, di carattere bizzarro e avventuroso (come si vede nelle
divertenti Memorie), in lite perenne con i conservatori come Cherubini (allora
direttore del Conservatorio di Parigi), polemista e critico, rivoluzionario ma
fino a un certo punto, Berlioz gira l'Europa da un capo all'altro diffondendovi
le sue musiche.
Ugualmente attratto dal monumentale (Requiem, 1837, con
gruppi orchestrali disposti spazialmente attorno agli ascoltatori) e dal
sentimentale (Romeo e Giulietta, 1839), dà con la Sinfonia fantastica
(1830) un primo esempio compiuto di sinfonia a programma.
Una bellissima
sintesi della sua arte è la leggenda drammatica La dannazione di Faust
per soli coro e orchestra (1846); sono anche da ricordare Aroldo in Italia per
viola e orchestra (inizialmente pensata per Paganini) e I troiani, grande lavoro
teatrale.
RICHARD WAGNER
Tocca comunque ancora ad un tedesco,
Richard Wagner (1813-1883), compendiare nella sua opera quell'aspirazione
all'unità delle arti che rappresenta un tema ricorrente del Romanticismo.
Filosofia e letteratura sono i primi interessi del giovane Richard: la musica si
affianca, coltivata quasi del tutto da autodidatta. Maestro in teatri d'opera
tedeschi, scrive il Rienzi (1840), dramma storico. Ma subito nelle opere
successive, si ispira a motivi mitici, astorici, che ritiene di più
immediata comprensibilità: L'olandese volante, Tannhäuser e
Lohengrin, svolgono tutte il tema della redenzione attraverso l'amore;
musicalmente sono influenzate ancora dall'opera francese e italiana, ma il
modello di Weber è anche ben presente.
Rivoluzionario nel 1848,
ricercato si rifugia a Weimar presso Liszt. Scrive alcune opere teoriche, e
abbozza il poema sul quale scriverà in un lungo periodo di tempo le
quattro opere dell'Anello del Nibelungo: L'oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido,
Il crepuscolo degli dei. L'azione drammatica nasce dall'unitaria concezione di
testo e musica ad opera di un solo autore; anche le scene, i costumi, i
movimenti scenici vengono immaginati unitariamente in funzione dell'«opera
d'arte totale». Il dramma viene concepito eticamente: solo chi rinuncia
all'amore può avere il mitico oro del Reno e la lotta per il suo possesso
si concluderà con l'annientamento di uomini, eroi e
divinità.
Tristano e Isotta (1859) e I maestri cantori di Norimberga
(1861-1867) si incastrano nella composizione dell'Anello.
Sposata una
figlia di Liszt, Wagner si trasferisce a Bayreuth, dove, con il determinante
appoggio finanziario di Luigi II di Baviera, fa costruire un teatro
appositamente pensato in funzione dell'esecuzione delle proprie opere; qui
verrà eseguito il Parsifal dove si mescolano sensualità e
misticismo (1882).
Il dramma wagneriano si svolge in gran parte in
orchestra, nel senso che non solo i diversi personaggi, ma anche situazioni,
ambienti, stati d'animo, sono simboleggiati da temi musicali che si intrecciano
fra loro e vengono variati a seconda del momento. La linea del canto si integra
con lo sviluppo sinfonico, tra l'arioso e l'aria; la scena è il blocco
strutturale costitutivo dell'opera di Wagner. Temperamento essenzialmente
drammatico, egli si serve di tutte le risorse del passato, combinandole, se la
situazione teatrale lo richiede, con quelle di un cromatismo molto spinto che
dà alla sua musica un accentuato senso di inquietudine e di
irresolutezza.
Struttura di orchestra wagneriana
JOHANNES BRAHMS
Parallelamente a quella wagneriana, si
svolge nell'ambito sinfonico corale, la produzione di Johannes Brahms
(1833-1897). Amburghese, conserverà nella sua musica sempre qualcosa di
brumoso, non integrandosi mai del tutto con Vienna, sua città di
adozione. Musicista affascinante, poeta del chiaroscuro, è autore di
quattro Sinfonie, due Concerti per pianoforte e orchestra un grande Requiem
tedesco.
La parte migliore della sua musica è però contenuta
nella produzione cameristica e in quella pianistica, coltivata fino
all'età più tarda: qui le ardenti confessioni romantiche,
diventano le pensose meditazioni di quel borghese individualista che si annida
in molte grandi personalità dell'epoca. Parte della sua musica mostra
tuttavia un volto più amabile: i Valzer per pianoforte a 4 mani, sono la
ricreazione dei Valzer di Strauss trionfanti nella Vienna di fine secolo; le
Danze ungheresi sono l'ennesima appropriazione austriaca della musica degli
tzigani della parte ungherese dell'impero. Vasta e a tratti molto bella è
poi la produzione liederistica. Fu considerato rappresentante della musica
«assoluta» non compromessa con la letteratura e il
wagnerismo.
GUSTAV MAHLER
Un carattere del tardoromanticismo è
il dilatarsi delle forme sinfoniche, come si può osservare nei lavori di
Gustav Mahler (1860-1911), grande direttore d'orchestra oltre che compositore.
Di origine boema si stabilì a Vienna nel 1897. Nelle sue Sinfonie e nei
suoi Lieder per orchestra, vive tutto un mondo composito: canzoni di strada,
marce militari, valzer urbani e rurali, inni religiosi, suoni di natura, poesia
popolare, si mescolano e si fondono nella sua straordinaria personalità.
La fine di quell'impero asburgico che stava per crollare, si coglie negli Adagi
delle sue Sinfonie, nei valzer straniati, nelle musiche militari
stravolte.
RICHARD STRAUSS
Richard Strauss (1864-1949) di Monaco di
Baviera appare meno problematico. La sua strepitosa abilità di
orchestratore è evidente in composizioni sinfoniche come Don Giovanni,
Morte e trasfigurazione, Una vita d'eroe, Così parlò Zaratustra,
che ebbero grande successo presso la borghesia tedesca da Guglielmo II a Hitler.
Ciò fece passare quasi in secondo piano la carica eversiva delle prime
opere: Salomé (1905) e Elettra (1909). Dopo la prima guerra mondiale la
sua produzione mostrò tratti neoclassici; nel periodo tardo della sua
lunga vita arrivò ancora a produrre Metamorfosi per 23 archi e Quattro
ultimi Lieder per voce e orchestra, ultima eco di un'epoca ormai
lontanissima.
L'OPERA IN ITALIA E IN FRANCIA
Se nei Paesi tedeschi il Romanticismo
dà i suoi frutti nel campo della musica strumentale, l'Ottocento italiano
produce essenzialmente melodrammi. è significativo che un
pianista-compositore come Muzio Clementi, si affermi in Inghilterra, dove muore,
ultimo di una lunga serie di italiani all'estero. Lo stesso Paganini (1782-1840)
si afferma all'estero con i suoi funambolici Capricci, i concerti e la musica da
camera dove c'è una cantabilità a volte spiegata, a volte
spiritosa. Italiani sono Luigi Cherubini (1760-1842) e Gaspare Spontini
(1774-1851) che aderendo allo spirito dell'opera di Gluck, danno con la Medea il
primo e con la Vestale il secondo due esempi di melodrammi rappresentativi della
atmosfera imperiale dell'epoca napoleonica.
Dopo Verdi, gli operisti
italiani faticano ad uscire dalla sua vasta ombra. Solo alcune opere restano in
repertorio: Gioconda di Amilcare Ponchielli, Mefistofele di Arrigo Boito, Wally
e Loreley del delicato e decadente Alfredo Catalani. Nonostante gli sforzi di
alcuni compositori come Giovanni Sgambati, Giuseppe Martucci e Marco Enrico
Bossi, che producono e fanno eseguire musica strumentale, è ancora dal
melodramma, quello cosiddetto verista, che vengono le novità della musica
italiana. Temi tratti dalla cronaca, di ambientazione popolare, voci tese
continuamente sino allo spasimo ne sono le caratteristiche più evidenti;
pochi lavori restano validi: Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, Pagliacci
di Ruggero Leoncavallo, Fedora e Andrea Chénier di Umberto
Giordano.
Anche in Francia l'opera domina, seppure, specie nella seconda
metà del secolo, non così perentoriamente come in Italia. Due sono
i generi che si affermano all'epoca della Restaurazione borbonica:
l'opéra-comique e il grand-opéra. Il primo si caratterizza per la
presenza di parti parlate ed è in genere leggero e sentimentale; il
secondo è ricco di movimento, colpi di scena, cori e danze, in una parola
estremamente spettacolare ma anche dispersivo e costoso.
Non circolano
però grandi cose, tant'è che un'opera come Faust di Charles Gounod
(1859) appare nuova e convincente. Ma la vera bomba esplode nel teatro francese
con Carmen (1875) scritta originariamente da Georges Bizet nello stile
opéra-comique (cioè con parti parlate), il cui vigore realistico
offende profondamente il pubblico benpensante. Emblema di spettacolo
mediterraneo, risonante di un folklore iberico quasi tutto d'invenzione, Carmen
tenta ancora oggi l'estro di registi teatrali e cinematografici che trovano in
essa motivi di stimolo per nuove interpretazioni.
Vigorosa e corrosiva nei
confronti della corte di Napoleone III è la produzione di Jacques
Offenbach, geniale autore di operette come Orfeo all'inferno, La bella Elena e
tante altre, e il cui can-can si pone ancor oggi come simbolo stesso della
Belle-époque. La produzione francese di fine Ottocento propone un ritorno
al sentimentalismo con Mignon di Ambroise Thomas e Werther e Manon di Jules
Massenet.
GIOACCHINO ROSSINI
Gioacchino Rossini (1792-1868) si dimostra
invece refrattario a quello stesso spirito e, autodefinendosi «l'ultimo dei
classici» ha in Mozart un riferimento ideale. Le sinfonie dei suoi
melodrammi migreranno tranquillamente dall'una all'altra opera, anche in ragione
di quella terribile fretta di comporre che travolge nel primo Ottocento gli
operisti italiani, in balia di un mercato che impresari, cantanti, censure
politiche, invidie d'ogni genere rendono caotico e di un pubblico che consuma
opere come oggi concerti rock. Rossini conquista prima tutta l'Italia teatrale,
imponendosi dal Nord dove s'era affermato, anche nei teatri napoletani e romani:
la prima del Barbiere di Siviglia (1816) avviene a Roma (un fiasco, organizzato
dai sostenitori del napoletano Paisiello). Seguono ancora nel campo dell'opera
buffa: L'italiana in Algeri, Il turco in Italia e La cenerentola. In seguito
Rossini si trasferisce a Parigi, dove adatta per i teatri della capitale alcune
precedenti opere serie, e dove scrive il Guglielmo Tell grande opera romantica
(1829). Dopo il Tell, Rossini non compone quasi più, ritirandosi in un
lungo silenzio, rotto soltanto da simpaticissime pagine pianistiche e
cameristiche, nonché dalla geniale Petite Messe solennelle. La sua opera,
affermatasi in tutta Europa, fu vista come quella di un geniale
conservatore.
VINCENZO BELLINI
Umori romantici si riscontrano nel
melodramma italiano a partire dalla produzione di Vincenzo Bellini (1801-1835),
siciliano, che, in direzione geograficamente inversa a Rossini conquista i
teatri del Nord Italia: I Capuleti e i Montecchi, La sonnambula e Norma sono le
opere principali da lui scritte in Italia; segue I Puritani, scritta per Parigi
dove Bellini muore in giovane età.
Non prolifico per scelta, egli
punta sulla melodia, mirando ad un'orchestrazione essenziale ma molto adeguata:
l'identificazione del personaggio, delle sue passioni, della sua anima,
avvengono tramite il canto.
GAETANO DONIZETTI
Gaetano Donizetti (1797-1848), bergamasco,
è invece estremamente prolifico in sintonia con il consumo della musica
teatrale dell'epoca quando ogni centro anche piccolo mette su la sua brava
stagione. Linda di Chamonix, Lucia di Lammermoor, la Favorita, sono le migliori
tra le sue opere serie, e contengono anche qualcosa di quella pittura d'ambiente
che è un tratto tipicamente romantico. L'elisir d'amore e Don Pasquale,
sono invece felicissime produzioni comico-sentimentali.
GIUSEPPE VERDI
Con Giuseppe Verdi (1813-1901) l'opera
italiana raggiunge la massima compiutezza. Fin dalle sue prime creazioni
(Nabucco, I Lombardi, Ernani), una fiammante energia anima i personaggi e le
masse corali; melodrammi come questi e poi ancora Attila e La battaglia di
Legnano, vengono rivissuti e come attualizzati nel clima di patriottismo legato
alle vicende risorgimentali. Dopo arrivano i tre capolavori della cosiddetta
«trilogia popolare»: Rigoletto, Il Trovatore e La Traviata, che vedono
Verdi maggiormente impegnato nel definire la psicologia dei personaggi: il '48
è passato, certi entusiasmi anche. Egli non esita a fare protagonisti
delle sue opere un buffone deforme, Rigoletto, una prostituta di lusso,
Violetta.
Don Carlos, I Vespri siciliani (scritta per Parigi), La forza del
destino (per Pietroburgo), lo vedono musicista di statura europea. Con Aida, per
l'opera del Cairo, una vena di esotismo si aggiunge alla sempre presente forte
caratterizzazione drammatica, qui sostenuta anche da una maggior cura per il
tessuto orchestrale.
Nella polemica nascente tra wagneriani e
antiwagneriani, Verdi, da sempre sostenitore di un'arte vocale italiana di
contro ad una strumentale tedesca, prende posizione talvolta molto
polemicamente. Le sue risposte migliori le dà comunque a teatro: le
ultime due opere, scritte su libretto di Arrigo Boito, mettono in scena le
gelosie di Otello e le burle di Falstaff, alti punti d'arrivo di una produzione
drammatica che rimane a tutt'oggi punto di riferimento obbligato per i
cartelloni delle stagioni operistiche di tutto il mondo.
Giuseppe Verdi
GIACOMO PUCCINI
Puccini (1858-1924) è musicista
istintivo ma anche raffinato. Manon Lescaut e Bohème (1896) sono seguite
da Tosca, momento verista della produzione pucciniana; Madama Butterfly e
l'incompiuta Turandot pagano un tributo all'esotismo da cartolina allora di
moda, anche se la seconda unisce ai sentimentalismi usuali in Puccini, una
ricerca armonica e timbrica degna di nota. La Fanciulla del West ambientata nel
continente nuovo, mostra la conoscenza dell'arte di Debussy; il Tabarro presenta
nuovamente tratti veristi di una modernità straordinaria mentre Gianni
Schicchi, l'unica opera buffa di Puccini, è un capolavoro del
genere.
LA "MUSICA DEI POPOLI"
La riscoperta romantica delle tradizioni
popolari (soprattutto la poesia), il concetto di popolo come depositario di una
cultura incontaminata e quello di patria, luogo reale ma anche categoria dello
spirito, costituiscono le premesse per la nascita di quelle che vengono indicate
come «Scuole nazionali». Non è certamente vero che la storia
della musica preottocentesca si svolga tutta nell'area franco-italo-tedesca;
è però innegabile la sua funzione di guida, di modello in
relazione a quelle periferiche, alcune delle quali, alla ricerca di una propria
indipendenza, puntarono anche su una musica che l'isolamento delle aree a
cultura contadina, aveva mantenuto diversa. I compositori che adesso passeremo
brevemente in rassegna furono consapevoli dell'importanza di un patrimonio, che
da essi o da altri venne allora per la prima volta raccolto e
studiato.
RUSSIA
Michail Glinka (1804-1857) è il
primo russo attivo sul fronte di una musica nazionale: Una vita per lo zar e
Russian e Ludmilla (di argomento storico la prima, fantastica e orientalista la
seconda) si pongono alla base delle successive produzioni russe teatrali. Egli
trasmette la conoscenza della più originale musica europea (viaggia
molto) a Dargomyzskij, intorno al quale si raccolgono a poco a poco i musicisti
che negli anni Sessanta formano il cosiddetto «Gruppo dei Cinque»:
Milij Balakirev (1837-1910) l'ispiratore, che esprime all'interno del gruppo una
precisa tendenza all'esotismo orientaleggiante; Cézar Cui, figura minore,
attivo soprattutto come critico antiwagneriano; Nikolaj Rimskij-Korsakov
(1844-1908), tecnicamente il più preparato del gruppo e quello più
legato alle istituzioni ufficiali, incline al colore fiabesco
(Shéhérazade) e all'eclettismo (Capriccio spagnolo); Aleksandr
Borodin (1834-1887), compositore dilettante, medico, chimico e filantropo (di
lui ricordiamo l'opera Il principe Igor); Modest Musorgskij (1839-1881), lo
spirito più radicalmente antiaccademico e populista del gruppo (per il
teatro Boris Godunov e per il pianoforte Quadri di un'esposizione).
Accanto
ad essi si colloca l'opera di Pëtr Cajkovskij (1840-1893), anch'egli
profondamente influenzato dalle tematiche del «Gruppo dei Cinque», ma
da essi lontano per la sua dichiarata propensione ad inserire la musica russa al
centro dell'Europa e per la sentita necessità di una preparazione tecnica
ineccepibile.
Ossessionato dal tema del fato, di carattere instabile,
socialmente vulnerabile a causa della dichiarata omosessualità, manifesta
nella sua musica una notevole discontinuità di livello che cerca spesso
di mascherare gonfiando il colore orchestrale. Da ricordare: vari poemi
sinfonici e ouverture per orchestra (Romeo e Giulietta, La tempesta, Francesca
da Rimini, «1812» Ouverture solennelle) 6 sinfonie (cui bisogna
aggiungere Manfred, da Byron), 3 concerti per pianoforte, uno per violino;
musiche da balletto, tra le più belle del genere (Schiaccianoci, La bella
Addormentata, Il lago de cigni); musica da camera, tra cui un Sestetto per archi
Souvenir de Florence, e 3 quartetti; per il teatro Eugenio Onegin e La dama di
Picche.
BOEMIA-MORAVIA
Bedrich Smetana (1824-1884) è il
primo grande compositore boemo; ammiratore di Berlioz e di Liszt, fondò a
Praga una scuola musicale. Sua è La sposa venduta, considerata l'opera
nazionale per eccellenza e rappresentata innumerevoli volte (100 ancora vivente
l'autore). Tra i suoi poemi sinfonici, il ciclo Dalla mia patria (che comprende
la celebre Moldava); 2 quartetti per archi e un Trio spiccano nella produzione
cameristica.
Antonin Dvoràk (1841-1904) è in ordine di tempo
il secondo grande nome della musica boema. Violinista e organista, è
influenzato dal sinfonismo tedesco, specialmente da Brahms. Le Danze slave, la
Suite ceca, il Trio «Dumky», oltre a un gran numero di brani per
pianoforte sono chiaramente ispirati dalle musiche etniche con cui venne in
contatto. Chiamato a dirigere nel 1892 un conservatorio privato a New York,
scrive la Sinfonia dal «nuovo mondo», il Quartetto in fa maggiore
«Americano», la Sonatina per violino e pianoforte, i Canti biblici,
dove c'è un superficiale uso di spunti derivati dagli spiritual. Il
Concerto in si minore per violoncello e l'opera Rusalka, segnano il definitivo
ritorno del compositore alle maniere della musica céca.
SCANDINAVIA
In Finlandia il nome emergente è
quello di Jean Sibelius (1865-1957), di formazione mitteleuropea, che si ispira
però fin dall'inizio alle antiche epiche storie del Kalévala con
Karelia, Una Saga, Il cigno di Tuonela. In un linguaggio tradizionale un po'
cupo e severo, di origine tardoromantica scrive 7 Sinfonie, musiche di scena
(tra cui Pelléas et Mélisande), il Concerto per violino.
In
Svezia il primo nome che si segnala è quello di Franz Berwald (1796-1868)
autore di interessanti sinfonie.
Il norvegese Edvard Grieg (1843-1907)
è delicato poeta con tocchi di nordico impressionismo nei Pezzi lirici,
vivace ricreatore delle danze del suo Paese (Danze norvegesi) felice nelle
musiche di scena per il Peer Gynt di Ibsen, un po' meno nelle grandi forme del
Concerto in la minore per pianoforte e nella Sonata sempre per
pianoforte.
Christian Sinding (1856-1941) è autore del celebre
Risveglio di primavera per pianoforte.
DANIMARCA
Niels Gäde (1817-1890) è un
nome importante per tutta la musica scandinava nazionalista che ha in lui un
primo punto di riferimento. La figura più interessante è
però quella di Carl Nielsen (1865-1931) che unisce agli spunti di
derivazione popolare una sensibilità quasi impressionista (Viaggio
fantastico alle isole Faroe, Pan e Syrinx), e un senso della spazialità
orchestrale nelle Sinfonie n. 3 «Espansiva», n. 4
«L'inestinguibile», n. 5, mentre nella n. 6 «Semplice» viene
fuori anche uno spirito polemico nei confronti della più avanzata musica
europea di Stravinskij e Schönberg.
INGHILTERRA
Dopo la morte di Händel, la produzione
locale segnò per lunghissimo tempo il passo. Ricordata la romantica
produzione pianistica dell'irlandese John Field (1782-1837), creatore del
notturno come genere pianistico e precorritore di Chopin, occorre arrivare a sir
Edward Elgar (1857-1934) per incontrare il primo grande nome di quella che viene
anche indicata come «scuola neomodale inglese». Compositore tipico
dell'età vittoriana, resta piuttosto isolato e lontano dalle esperienze
che venivano maturando sul continente. Le variazioni su un tema originale Enigma
(1899) sono il suo lavoro più eseguito; sono da ricordare anche
l'oratorio Il sogno di Geronzio (1900), Sea pictures (1899) per voce e
orchestra, 2 sinfonie, e una serie di deliziosi piccoli pezzi per orchestra. Fra
i compositori delle generazioni successive ricordiamo Frederick Delius
(1862-1934), Gustav Holst (1874-1934) con i vigorosi orchestrali Pianeti e Ralph
Vaughan-Williams (1872-1958) autore di 9 sinfonie e della composizione per archi
Fantasia su un tema di Thomas Tallis.
SPAGNA
Ricordiamo Isaac Albenitz (1860-1909),
compositore e pianista precocissimo, dalla giovinezza turbinosa. La sua
produzione migliore è quella della raccolta pianistica Iberia, scritta a
Parigi, dove si era stabilito a partire dal 1902.
Di Enrique Granados
(1867-1916), altro pianista-compositore, sono da ricordare le raccolte Scene
Poetiche e Goyescas ispirata quest'ultima alla tragica atmosfera dei dipinti di
Goya.